La città, la cui vera natura è quella della coabitazione umana,
espressione di colui che la costruisce e la vive, oggi sembra aver perso quelle
valenze che ne avevano segnato la nascita e accompagnato lo sviluppo in
dimensioni simboliche e territoriali.
Di fatto le odierne tipologie urbane corrispondono a quel modello sorto
verso gli anni ’30. La città è organizzata per assolvere soprattutto funzioni,
con una netta disarticolazione ed una conseguente marcata difficoltà per
l’individuo di identificarsi nella cultura urbana generale.
In quest’ottica non ha messaggi da dare al cittadino se non quello
identificato da Stroppa ne Il bambino e
la città (Stroppa,1996) di cercarsi un proprio spazio (..) dove rifugiarsi
dal pericolo della città stessa.
Tale spazio, anche qualora si trattasse di un’entità non fisica, assume
allora significati simbolici nuovi e ruoli importanti nella vita individuale e
collettiva.
La città, in questo senso, diviene espressione della vita sociale ed i
suoi luoghi, soprattutto se non istituzionalizzati, rivestono ruoli e funzioni
diversificate.
Ma in quale misura quanto si osserva oggi nelle città e nei suoi spazi
concede al bambino di concretizzare quale soggetto attivo e non passivo le
sue capacità potenziali? In quale misura sono riconosciute tali capacità
potenziali al bambino disabile? (Stroppa, 1996)
Il problema era complesso e di non facile risposta già vent’anni fa ed
è rimasto attuale e reale anche oggi, aggravato dal susseguirsi di un tempo in
cui i bambini non hanno ancora avuto la possibilità di assumere completa
visibilità, di un tempo in cui non abbiamo ancora imparato a ricercare e vedere
soluzioni che sono a portata di mano ma, di fatto, sono percepite come
irrealizzabili.
Nella città, bambini, adulti e anziani perpetuano il loro agire
quotidiano, consapevolmente e inconsapevolmente la trasformano in terreno di
esperienze, ma la società attuale, riconoscendosi nei tratti del sempre nuovo e
del mutamento continuo, fa si che l’esperienza, sintesi di un percorso vissuto
e sperimentato, viva un momento di atrofia. Quello che viene messo in
discussione non è la capacità di conoscere e acquisire informazioni ma la
possibilità di sedimentare l’esperienza.
L’esperienza in qualsiasi luogo avvenga è anche terreno prediletto
dell’apprendimento in quanto comprende da un lato il momento dell’esercizio e
dall’altro quello dell’elaborazione.
Perché allora l’esperienza è stata lentamente allontanata dalle
proposte educative delle principali agenzie formative a favore di una
dimensione prettamente cognitivo mentale ed astratta?
Perché considerando che per il soggetto in via di sviluppo il gioco e
l’attività motoria sono le dimensioni basilari dell’esperienza non si è cercato
di rispondere a questi suoi bisogni anche in luoghi estranei alle agenzie
formative istituzionali? Perché nel nostro contesto sociale non si è
riconosciuto il valore del parco giochi e, nella sua accezione più ampia, del
giardino pubblico come luogo di apprendimento socializzazione, relazione e
interazione?
L’area verde ha seguito nel tempo l’andamento architettonico delle
città in cui è stata inserita, ricerca estetica e tecnica innanzitutto, ma pochi,
se non del tutto assenti, reali progetti pedagogici in grado di rispondere alle
rinnovate esigenze degli utenti.
adulti e bambini che giocano insieme
Se progettare significa anche predire, se consiste nel saper prevedere
gli effetti di determinate scelte, questa consapevolezza deve essere
necessariamente trasferita anche nella realizzazione dei parchi gioco e delle
aree verdi, riconoscendone le ampie valenze sociali e pedagogiche.
Se all’area verde riconosciamo ormai tacitamente la sua funzione di
favorire il contatto e comunicazione sociale, di consentire l’avvicinamento e
il contatto diretto con la natura, di sviluppare un senso di appartenenza al
luogo e di avere effetti positivi sul benessere e sulla salute dei cittadini, è
arrivato il momento di riconoscere allo spazio giochi il valore pedagogico ed
educativo che gli è proprio e di legittimarne i valori e le possibilità di
apprendimento che si realizzano in questi luoghi. Se è dentro la quotidianità che si vive e si
cresce, allora è necessario che la considerazione efficientistica dell’utilizzo
del tempo anche in campo educativo si trasformi, allargando i propri confini valutativi anche
verso spazi e tempi per i quali, purtroppo, non si è data una considerazione coerente
con le effettive possibilità e opportunità
di apprendimento e di sviluppo.
Un luogo privo di barriere fisiche e simboliche in cui tutti i bambini abbiano opportunità di
sviluppare un positivo vissuto sociale, di stare a contatto con la natura e di
dispiegare il loro potenziale.
Quando finalmente
riconosceremo che il parco urbano e più nello specifico il parco giochi,
costituisce uno spazio di crescita, di sviluppo ma anche di collaborazione
sociale e che a nessuno debba venir negata la possibilità di giocare, non solo
per dispiegare il potenziale ludico ma anche per contribuire attivamente alla
crescita ed alla salute di tutti i bambini allora avremo compreso il
significato di una progettazione consapevole.
Daniela Beccari
LAUREA
IN SCIENZE DELL'EDUCAZIONE
indirizzo processi formativi e pedagogia speciale
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